La storia ha i suoi meriti, ma purtroppo è stata un po' troppo allungata da troppi personaggi secondari e ultra-secondari sia buoni che cattivi che, per la mia personale percezione, hanno finito per confondersi irrimediabilmente uno con l'altro. L'hanno presa alla lontana: abbattiamo il deputato cattivo togliendogli prima l'appoggio dei suoi aiutanti. E potrebbe anche avere merito, come soluzione, solo che si è trascinata forse un po' troppo, sconfinando nel ripetitivo.
So che qualcuno non apprezza il fatto che, sostanzialmente, la sconfitta del deputato non risolva nulla. Ma era prevedibile: il sistema ricrea se stesso, la situazione preesistente tende a riformarsi. Se scompare un malvagio, qualcun altro prenderà il suo posto. L'affresco politico appare, purtroppo, plausibile e sconfortante. Del resto, l'intero drama è come sotto una cappa di disillusione.
L'ho guardato con piacere, ma dopo la metà mi sono annoiata un po'. Beh, accade quasi sempre.
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Commediola innocua
Una commedia isekai ambientata in ufficio, senza particolari guizzi né di fantasia né di qualsiasi altra cosa. Gli attori sono passabili. Il protagonista passa 9/10 del suo tempo ingobbito e con un'aria di distaccato disfattismo. Peccato, perché sarebbe anche carino.Carina e simpatica, ma nulla di più. A patto, comunque, di chiudere un occhio sulle surreali pratiche commerciali e le lotte intestine all'interno del gruppo.
Potabile, da guardare una volta, per passare il tempo, ma nulla di più.
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Gourmet in Tang Dynasty
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Isekai simpatico, ha una seconda stagione
Carino e simpatico, ovviamente over the top. Un Isekai senza pretese, con diversi colpi di scena, non ultimo quello finale, che ha il terribile difetto di lasciarci in sospeso in attesa di una seconda stagione che oggi, aprile 2023, ancora non c'è e chissà se mai si farà. (E invece, a Ottobre 2023 l'hanno fatta!)Attori adatti al tipo di commedia, costumi e ambientazioni chiaramente adeguati ad un lavoro a basso budget, ma che si difende molto bene. Non è stato tempo perso, ma avrei voluto sapere come va a finire. Ora potrò saperlo.
Molto carina l'ambientazione nella dinastia Tang, quando la bellezza femminile prediligeva forme abbondanti. Ma, guarda caso, l'attrice principale e le ballerine sono magre... chissà come mai. E, ad ogni modo, le persone in carne hanno parti comunque non troppo simpatiche.
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Miss Chun Is a Litigator
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Finale sospeso, protagonista maschile non pervenuto
La prima cosa che c’è da sapere di questo drama è che non è terminato. Si chiude su un prolisso e irritante pistolotto finale da parte della protagonista che ci fa intravedere una futura avventura contro forze preponderanti e letali (che presumo alla fine vincerà), ma che di sicuro non sarò lì a vedere. Soprattutto, chissà se mai la seconda stagione la faranno: i punteggi di questa serie non sono stratosferici, e a buona ragione.Chun Tu Mi (una brava Sabrina Zhuang) è una ragazzina che ha ereditato dalla madre il pallino della legge e che, per diverse circostanze, si trova a fare l’avvocato difensore, prima di suo padre, e poi via via di altre persone, nonostante sia una donna, cosa inaudita. Il padre e il nonno l’appoggiano… Vabbeh, quanta gente illuminata in questa famiglia.
Due pezzi grossi (gli ottimi Fan Zhi Xin e Qin Tian ) la prendono sotto la loro ala e, trascinandosi dietro il padre, se la portano in viaggio per farsi aiutare da lei mentre supervisionano dei tribunali periferici… Boh. Nel frattempo, in tanti stanno cercando una pietra da inchiostro (e ancora adesso ce ne chiediamo il motivo) e si sviluppa una caccia ad una setta di assassini. Un bel giovane (lo statuario Huang Jun Jie – nel senso che una statua sarebbe più espressiva) sbuca qua e là come il prezzemolo, aiuta più volte la protagonista che, essendo donna, per sua natura si caccia nei pasticci e necessita di essere salvata (modalità sarcasmo: ON), e pare essere un cattivo soggetto. Seguono diverse vicende a volte interessanti, altre molto meno.
Il sunto del discorso è tutto lì: gli attori sono per la maggior parte più che decenti, tranne il protagonista maschile che però, stranamente e fortunatamente, si vede meno delle spalle ed emerge praticamente alla fine. L’avevo già notato in Dr. Cutie e già allora mi chiedevo se fosse pedestre in quel drama in particolare, ma invece no: a quanto pare è proprio così. La storia è spesso pretestuosa, la presenza della protagonista è spesso dovuta a motivazioni tirate per i capelli, non mancano i riempitivi nonostante la brevità dell’opera e non esiste un finale, dato che ci interrompiamo sul più bello (?).
A questo punto parlare di musiche (non pervenute), cinematografia (tutto nella norma), costumi (passabili, se pur cambiati poco, ma con un paio di eclatanti cadute di stile) e approfondimento dei personaggi (eh?) pare anche superfluo. Per quanto mi riguarda, il drama avrebbe avuto ragione di esistere se fosse stato terminato. Così, si è rivelato tempo perso.
Come commento personale al di fuori della specifica serie, sarebbe molto bello se le schede informative delle opere ci dicessero in anticipo quando la storia resta sospesa. In questo modo, molte volte lo spettatore si sente veramente preso in giro. L’avessi saputo prima, probabilmente non l’avrei neanche visto tutto. Forse è per questo che non ce lo dicono…
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Trama trita e inconsistente, finale ridicolo
The Blessed BrideEcco un titolo che proprio non mi sento di consigliare. Si tratta di una commedia romantica in costume, i cui unici pregi sono la recitazione decente del duo protagonista e la loro interazione, abbastanza fluida e non forzata.
Per il resto, le situazioni comiche sono straviste e riviste innumerevoli volte; costumi, ambientazioni, OST e versacci umoristici sono proprio al minimo edittale.
Questa serie nasce per essere trasmessa in 24 episodi da 10 minuti, e si vede anche quando viene proposta in 6 episodi da 25 minuti circa.
Una ragazza viene costretta dal fratello adottivo a sposare un uomo suo rivale in affari, del quale ha sempre detto che sarebbe responsabile della morte dei loro genitori, allo scopo di spiarlo e distruggerlo. Lei però non è molto convinta e, ovviamente, le cose non stanno proprio come sembra. Naturalmente, i due si innamoreranno.
Da dove cominciare? La trama è totalmente trita e abusata e, soprattutto, procede a balzi caotici, lasciando in sospeso mille questioni, senza spiegare nulla e demandando allo spettatore il compito di collegare una serie di fatti più o meno slegati per farsi un quadro mentale di ciò che potrebbe essere successo. In questo contesto, il colpo di scena dell’ultimo episodio più che stupire, irrita e, ancora di più, il finale degli ultimi 5 secondi, che non viene adeguatamente preannunciato, e men che mai spiegato. Lo spettatore rimane a guardare i titoli di coda boccheggiando come un pesce fuor d’acqua.
Insomma, è una breve opera da guardare col cervello in rigorosa posizione off, fidandosi di quello che appare sullo schermo, perché se solo ci si ponesse qualche domanda si tirerebbe una ciabatta al video, buona come riempitivo per rilassarsi fra due opere corpose di ben diverso spessore. Tempo abbastanza perso, c’è di molto meglio, in giro.
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Yeo Mi Ran (Kim Ok Bin ) è un’avvocata alla disperata ricerca di un lavoro, che trova in uno studio legale tutto al maschile, dove, a sua insaputa, viene assunta solo perché una loro cliente VIP ha preteso una donna. Mi Ran è una donna forte, con un profondo senso di giustizia, e conduce una personalissima guerra contro gli uomini, che ritiene tutti fedifraghi e indegni di fiducia. Perciò li seduce e abbandona e, se incontra dei prepotenti, li prende anche a botte. Già, perché la nostra avvocata è un’atleta e lottatrice fenomenale.
Nam Kang Ho (Yoo Teo) è un famosissimo e amatissimo attore, noto per la sua bellezza e gentilezza, che recita in parti romantiche e si serve dello studio legale dove lavora Mi Ran. Ma Kang Ho, dopo una brutta esperienza seguita da altre non migliori, non ha alcuna fiducia nelle donne e anzi, si potrebbe dire che gli diano l’allergia.
L’incontro di questi opposti non può che fare scintille e, inizialmente, i due si scornano a più non posso, anche a causa di reciproci fraintendimenti. Ovviamente, la progressiva vicendevole frequentazione farà sì che questi mondi così diversi si conoscano, piacciano, e amino, superando anche sospetti e timori da parte del di lui amico e manager Do Won Joon (Kim Ji Hoon) e dell’amica di lei Shin Na Eun (Go Won Hee). Ma, soprattutto, le barriere più difficili da superare saranno proprio quelle dei loro traumi e preconcetti.
Che cosa rende questa commedia così speciale? Il fatto che affronti, sia pur esagerando e generalizzando, il tema dolorosamente attuale della società patriarcale e del doppio standard applicato a uomini e donne. Là dove un uomo che “esplora” viene esaltato e onorato, una donna sessualmente libera si attira pesante riprovazione, che rischia di contaminare anche il partner. Se un uomo vuole rimanere celibe, o non avere figli, o averne in età più avanzata è nel suo pieno diritto, ma se questo diritto vuole reclamarlo una donna, apriti cielo! E una donna che lavora si presume non lo faccia con lo stesso impegno e/o con lo stesso risultato di un uomo, solo perché è donna. Naturalmente, un marito vecchio stampo (o non così vecchio, siamo comunque in Corea) può permettersi di insultare, minacciare e sminuire la propria moglie a ogni piè sospinto. Una donna dovrebbe guardarsi bene dal chiedere il divorzio, specialmente se spera di non essere spennata di tutti i suoi averi. E così via.
Certo, come si diceva, il pericolo è di esagerare e generalizzare. E’ ovvio che non “tutti” gli uomini sono dei figli di buona gatta traditori e incapaci. E’ ovvio che non tutti i mariti sono irrispettosi o violenti. E’ ovvio che in uno studio legale di una dozzina di avvocati l’unica con un po’ di furbizia e professionalità non può essere la sola donna del mazzo. E anche le motivazioni che spingono la protagonista ad avere “100 ragazzi” o a partire in quarta per raddrizzare i torti a suon di pugni anziché a parole, come la sua professione suggerirebbe, sono un po’ speciose e a tratti traballanti. Se non fosse così, non sarebbe una commedia, ma un documentario o un biopic.
Invece, mostrandoci le aberrazioni di una certa mentalità in un contesto umoristico, si riesce a far passare il messaggio insinuando il seme del dubbio, facendo riflettere con un sorriso. Come ebbi a dire nella recensione di “The Romance of Tiger and Rose”, se è così fuori dalle righe applicato a un uomo, perché dovrebbe essere giusto se a subirlo è una donna? Rovesciando la situazione, la domanda non cambia.
Non manca la rappresentazione/denuncia di un certo tipo di organizzazioni di fan, terribilmente aggressive e tossiche. Ragazzine o giovani donne seguono ovunque il loro idolo, minacciando e aggredendo quelle che ritengono essere persone deleterie per lui e per la sua carriera, morbosamente aggrappate all’illusione di non si sa cosa, di fatto, stalkerando proprio il personaggio di cui si professano innamorate. E tizi senza scrupoli ne approfittano per acquisire notorietà e facili guadagni dando in pasto al largo pubblico ogni più piccola briciola di scandalo.
E di motivi di scandalo non ne mancano. Il povero protagonista Kang Ho viene prima sospettato da Mi Ran di farsela con una minorenne, poi viene pubblicamente accusato di essere gay (come se fosse una colpa…) rischiando la carriera e quando finalmente riesce ad avere una storia con Mi Ran rischia di nuovo tutto al riaffiorare del passato promiscuo di lei. Insomma, la società pruriginosa e maschilista va in scena in gran spolvero. In un certo senso viene preso in giro anche lo spettatore, con l’inserimento di alcune scene volutamente ambigue tra Kang Ho e Won Joon, il suo manager, ma la bromance non ha alcuna connotazione romantica.
Dicevamo che è una commedia, per cui già sappiamo che tutti i santi finiscono in gloria. Forse la risoluzione dei conflitti appare per certi versi un po’ utopistica e per altri un po’ insoddisfacente, ma si tratta pur sempre di un prodotto dichiaratamente di intrattenimento, che non deve aspirare più di tanto a verosimiglianza e logicità.
Una storia scoppiettante, interessante e per certi versi profonda non produrrebbe il risultato sperato se non fosse recitata dagli attori giusti. Fortunatamente per noi, Kim Ok Bin è un’ottima attrice, e non solo. Ha tre dan in Hapkido e due in Taekwondo, pratica boxe e altri sport, corre in moto e auto e ha un QI che molti di noi invidierebbero. Insomma, la parte era perfetta per lei, che ha saputo interpretare la disincantata Mi Ran con energia e giusta espressività.
Yoo Teo è un attore maturo, molto avvenente e molto competente. Nato in Germania da genitori coreani, ha studiato recitazione negli USA e in Gran Bretagna, e recitato in mezzo sud est asiatico, e non solo. La sua interpretazione della superstar allegra e galante all’apparenza, ma dolente e complessata nel privato, è efficace e coinvolgente. I vari stadi del progredire del suo interesse per Mi Ran sono visibili sul suo viso come se scritti a titoli di scatola. Perfetto. E non guasta che faccia una gran figura sia in abiti eleganti che in giubbotto da teppista.
Questi due, insieme, hanno fatto scintille. Dimenticatevi i bacetti a stampo stile asilo visti in fin troppe produzioni, e procuratevi un ventaglio: ne avrete bisogno.
Giustizia vuole che spenda due parole anche per Kim Ji Hoon, che ha interpretato l’amico di Kang Ho. Questo bravissimo attore, già splendido nella parte del cattivo in Flower of evil, ha già alle spalle una cospicua carriera. Magnifico e carismatico, la sua presenza è tale da rubare spesso la scena anche al pur altrettanto bello e bravo Yoo Teo.
Un commento musicale spesso allegro e scanzonato, inframezzato da suoni e versi di animali divertenti inseriti al momento giusto, unito all’ottimo comparto costumi, trucco e parrucco, completa le note positive di questa serie.
Può darsi che la cosiddetta crescita dei personaggi non sia stata molto curata, non lo nego. Abbiamo visto che certe situazioni sono state esagerate, direi volutamente. Qualcuno potrebbe anche trovarlo fastidioso, non lo metto in dubbio. Io però mi sono divertita molto e ho apprezzato il messaggio, per cui consiglio la visione.
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Cliché, pochi mezzi e un ML ingessato
Una principessa di scarsa importanza viene data in sposa a un generale che non conosce e fugge il giorno delle nozze con l’intento di riuscire ad ottenere il divorzio. In una lontana città assume un’altra identità e conosce due uomini, anche loro sotto mentite spoglie, che finiranno per farle entrambi la corte. Si innestano nella vicenda conflitti fra regni nemici, una tratta di schiave, veleni, strane pratiche mediche, sacrifici, spie… tutto il pacchetto, insomma, compresa l’immancabile caduta dal dirupo e la perdita di memoria!Il big boss è… boh, chi diavolo sia, cosa ci faccia lì e, soprattutto, perché alla fine sia stato sconfitto così facilmente – ferite dei duellanti a parte – me lo sto domandando ancora adesso. Spessore, zero. Non è neppure odioso, ma solo uno dei tanti personaggi secondari di scarso interesse che hanno popolato gli episodi. Fra tali personaggi secondari, spicca l’eccentrico dottore, davvero troppo, troppo sopra le righe, e in più con quella parrucca grigia su un viso troppo giovane. Boh. Se doveva far ridere non c’è riuscito.
Costumi e ambientazioni, pur in un contesto a budget probabilmente non troppo succulento, fanno doverosamente il loro lavoro, a patto di dimenticare che non vengono cambiati quasi mai. Il commento musicale spicca per la sua anonimità. I combattimenti sono abbastanza ridicoli, i voletti su e giù per i tetti potevano essere realizzati meglio (forse torniamo a questioni di budget?) ma, insomma, sopportabili.
Il trio degli attori principali mi vede divisa. Il protagonista, Li Jiu Lin, non mi è piaciuto per niente: poche espressioni e, molto spesso, uno sguardo fisso in un viso melenso mi hanno impedito di affezionarmi a lui. Perlomeno, sa baciare. Molto meglio il secondo violino, il giovanissimo Wu Cheng Xu, decisamente più vivace e soprattutto più comunicativo. Chi invece mi è piaciuta veramente tanto è la protagonista, Chen Fang Tong, che ha già una discreta carriera alle spalle. E’ stata espressiva il giusto, nel modo giusto, al momento giusto. Plausi.
Le interazioni fra i membri di questo triangolo amoroso sono state molto naturali e ben rappresentate, così come il rapporto di amichevole inimicizia fra i due maschi. Niente da dire, qui: questi tre insieme hanno funzionato davvero bene. Giova sottolineare come ci siano state diverse scene piuttosto osé, per i canoni di un drama cinese, tra cui addirittura una breve scena in cui sono in tre a letto. E poi, beh, diversi “momenti senza camicia” davvero apprezzabili.
Che dire, che dire… la storia in sé è terribilmente cliché e piena di buchi, procede in modo a tratti stentato e alla fine risulta anche un po’ noiosa. I colpi di scena sono talmente prevedibili che chiamarli colpi è ridicolo, al massimo sono spintarelle. L’unico forse vagamente imprevisto è quello degli ultimi secondi, che sembrerebbe far presagire una seconda serie. Non so se mai la faranno ma, nel caso, dubito che la guarderò.
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A League of Nobleman
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Tanta tensione, ma a volte un po' troppo infantile
Il drama è un adattamento di "The Case of Zhang Gong", di Da Feng Gua Guo, ed è un tipico esempio, se mai ce n’è uno, di come delle buone premesse, un’ottima cinematografia e delle ambientazioni non sontuose, ma realistiche e visivamente appaganti, unite alla convincente interpretazione di molti degli attori coinvolti, siano stati parzialmente sciupati da una sceneggiatura non completamente convincente perché a volte troppo infantile e caricaturale. O, meglio: si tratta di un drama pieno di complotti, enigmi e suspense, con soluzioni spesso un poco estreme, che occorre guardare staccando la spina alla parte critica del cervello per poterne godere appieno.Dicevo: buone premesse. La storia parte bene, con un bel mistero da risolvere. Zhang Ping, povero orfano provinciale interpretato da un ottimo Song Wei Long, si reca nella capitale per gli esami di ammissione al servizio civile, con l’intento di seguire le orme di un investigatore autore di molti libri che oggi definiremmo gialli. Si picca di essere un retto paladino della giustizia e si comporta come il tipico elefante fra i cristalli. Inutile dire che combinerà più di un pasticcio, anche perché inizialmente è convinto che Lan Jue sia un delinquente.
Per contro, Lan Jue è un funzionario scampato alla morte nonostante sia figlio di un ministro giustiziato per tradimento. Farebbe quasi qualsiasi cosa per riabilitare il nome del padre e risolvere un tragico mistero di vent’anni prima. Il suo personaggio viene abbondantemente sviscerato, con tutte le sue contraddizioni: il suo desiderio di essere retto, contro la potente spinta a scoprire le vicende del passato e la riabilitazione del padre, formano un terreno fertile per scene emotivamente potenti e ben recitate. E l'interpretazione di Jing Bo Ran, in alcuni momenti languida e sensuale, è un vero piacere per gli occhi (specie coi capelli sciolti!).
Le vicende di questi due giovani, assieme a quelle di vari comprimari, verteranno intorno a quel fatidico periodo. E sono vicende molto intricate, in cui i vari casi giudiziari e il passato dei personaggi si intrecciano, sullo sfondo di una malvagia imperatrice vedova, tradimenti, eccidi e di un terribile segreto di palazzo. Dalla iniziale inimicizia e rivalità fra i due protagonisti si svilupperà man mano una bella amicizia.
Una cosa salta subito agli occhi: alcune sequenze, anche oniriche, che ricorrono durante il drama, sono visivamente allusive e appaganti, i colori sono spesso vivi ma non sgargianti, le scene, le transizioni sono gradevoli e catturano l’occhio dello spettatore, le soluzioni visive sono artistiche e gridano professionalità da ogni fotogramma. E, per il piacere delle orecchie, il commento musicale è molto azzeccato.
Le diverse investigazioni che vengono condotte sono anche abbastanza interessanti, ma vengono a volte risolte in maniera tale da non permettere allo spettatore di fare supposizioni informate, per cui si perde un po’ il piacere di cercare di indovinare. Il drama gioca con carte truccate, con molto uso di ipnotismo e incantesimi, portandoci decisamente nel reame del fantasy. Tutto sommato la prima metà della serie si lascia guardare più che piacevolmente, aiutata da una nutrita serie di bravi attori molto gradevoli alla vista, anche se talvolta alcune situazioni sono terribilmente esagerate e poco plausibili. Le cose però prendono una brutta piega passata la boa della metà della serie. Un paio di personaggi che avevano avuto parti importanti all’inizio scompaiono per parecchi episodi, riaffiorando solo in quello finale, per lasciare il posto a una new entry che si accaparrerà un sacco di schermo. La cosa è giustificata, ma non è bello nei confronti del pubblico inserire un personaggio di tale importanza così tardi, sbilancia la narrazione ed è un po’ come barare.
Soprattutto, ciò che infastidisce lo spettatore adulto è una gestione piuttosto infantile degli accadimenti. Se già era abbastanza evidente in principio, verso la fine è palese e manifesto: alcuni personaggi si comportano in maniera inverosimile e diverse volte capita di esclamare – ma no, dai, non faranno mica… - e puntualmente lo fanno! Personalmente sono stata molto irritata da situazioni pericolose completamente evitabili, da un’escalation finale poco credibile, dagli sbarellamenti di un big boss per certi versi davvero troppo sopra le righe, tanto da risultare inaccettabile nella sua apoteosi di vendetta contro una persona che diventa un eccidio di innocenti senza controllo. A che pro? La logica va a farsi un bagno troppo al largo, perfino per la testa di uno squilibrato.
Intendiamoci: la serie gode di una suspense potente, che ti prende per mano e ti trascina senza lasciarti via di fuga fino al finale, che è pure molto soddisfacente, solo che mentre ci arrivi ti trovi a imprecare perché inciampi qua e là in ostacoli che sarebbero stati magari evitabili se non avessero pestato così forte sul pedale dell’esagerazione e spettacolarizzazione. Certo che, allora, si sarebbe magari persa un po’ di tensione.
Se la completa logicità degli eventi per voi non è una priorità e se guardare uno spettacolo tensioattivo recitato da un nutrito cast di attori molto belli e anche bravi è quello che cercate, lo troverete qui, unito ad una cinematografia molto interessante e ad un commento musicale sul pezzo. Promosso ma, come diceva la mia maestra, poteva impegnarsi di più.
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Romcom femminista
Romcom pseudostorica in 24 episodi da circa 30 minuti, che racconta le vicende dei regnanti di due città in lotta da generazioni. Il governante di Muxi ha avuto solo una figlia, Ye Zhao Nan, e l’ha spacciata per maschio, riuscendo a farle ereditare il trono alla sua morte. Ma le trame del generale per ottenere il potere la spingono letteralmente fra le braccia di Liu Xuan Ming, il signore della nemica città di Xuanyue. La caduta da un dirupo le fa perdere la memoria e un trio di improbabili spie la battezza Sanmei spacciandosi per la sua famiglia, con l’intento di farsi aiutare da lei a uccidere Liu Xuan Ming. Va da sé che, essendo i due i protagonisti della storia, invece di uccidersi a vicenda si innamoreranno.Già da questa brevissima sinossi si comprende che la storia è composta in buona parte da cliché del genere: città nemiche, ragazze travestite da maschio, dirupi, perdite di memoria… Poco di nuovo sotto il sole. Il drama tuttavia si lascia guardare senza opporre troppa resistenza, perché, a patto di essere di bocca buona, è denso di situazioni divertenti, con toni spesso farseschi. Non mancano effetti sonori come miagolii, latrati e ruggiti. Bisogna però, lo ribadisco, essere di bocca buona: la comicità verte a volte su argomenti corporali, peti e in un caso escrementi volano da tutte le parti. C’è perfino un arco narrativo che dura per più di un episodio in cui assistiamo a humor sugli olezzi che provengono da una bara, e nientemeno ci mangiano sopra. Insomma, siete avvisati. Eppure, nonostante questi minus disgustosi, ma tutto sommato non troppo frequenti, la comicità e le situazioni oltre il limite dell’assurdo contribuisco al successo dell’operazione.
Da notare la scarsa presenza di fanservice per gli uomini, mentre assistiamo invece a molti “momenti torso nudo” maschili, anche a sproposito. E se il povero Yan Zi Xian, protagonista maschile, riesce spesso ad interpretare con successo una sua personalissima versione di uno spaventapasseri, Parker Mao, interprete del generale ribelle, esprime una fisicità decisamente più consistente e molto più attraente agli occhi. Peccato che spesso lo abbiano unto troppo, distruggendo parte del risultato.
Ora, dobbiamo dirlo chiaro: la logica in questo drama è pressoché inesistente, bisogna prendere le cose come sono, senza cercarvi chissà quale verosimiglianza. E’ una serie messa lì per farci ridere. In apparenza. Perché invece, e senza neppure camuffarlo troppo, viene portato avanti un discorso femminista forte: la protagonista dimostra a ogni piè sospinto di essere perfettamente in grado di fare quello che farebbe un uomo. E’ forte nel corpo, nello spirito e nell’intelletto, senza sentire bisogno di dimostrare la propria forza aggredendo qualcuno. Si difende, quando serve, senza malignità ma con decisione, e lo fa in proprio, senza tema di sporcarsi le mani. E in quanto a strategia, non ha rivali. Nel contempo, ci ammanniscono anche più di un discorsetto sui gloriosi benefici del comunismo (ovviamente senza nominarlo). Ma tant’è. Quante volte abbiamo sentito la tiritera del grande sogno americano e dell’immensa bontà degli USA che difendono la libertà del mondo? Non rispondetemi, era una domanda retorica.
Gli attori sono stati molto bravi. Specialmente la protagonista, Zhang Yue Nan, ha saputo interpretare il suo ruolo con una mimica facciale decisamente accattivante e un portamento potente. Un vero mastino, trasudante autorità e determinazione: nessuno potrebbe non riconoscerla come padrona del suo destino, ma anche nelle parti più dolci o dolorose ha saputo centrare l’obiettivo. Yan Zi Xian, protagonista maschile, si è difeso molto bene, ma senza essere all’altezza della sua compagna, non per demerito suo, ma perché il ruolo femminile era decisamente più interessante. Parker Mao, il generale ribelle, ha reso il suo personaggio con grande fisicità. Peccato gli abbiano imposto delle terribili risate, come spesso accade in questo tipo di drama. Stesso destino prescritto a Fan Wei, che interpreta magistralmente due gemelle psicopatiche, fin quando si affida ad una mimica facciale decisamente inquietante, ma che distrugge l’ottimo effetto appena è costretta a prodursi in risate raccapriccianti… e non per l’orrore. Il cast in generale ha recitato molto bene, tenuto conto che si tratta di una commedia, e del tipo di commedia che è: se alcune parti sono esageratamente calcate, possiamo tranquillamente ritenere che sia una scelta registica, e non ci sta neppure male.
Nonostante non si tratti di un drama ad alto budget, costumi e ambientazioni sono più che dignitosi e, per quanto non numerosi, sono comunque sufficienti a dare una buona impressione. Il commento musicale fa il suo dovere, pur senza brillare. Insomma, in generale si tratta di una produzione gradevole, adatta a qualche ora di svago senza troppe pretese. A volte è meglio uno spettacolo dichiaratamente sciocco rispetto a uno che si prende troppo sul serio e non centra l’obiettivo.
Da segnalare che, dopo i titoli di coda, ci lasciano intendere che potrebbe esserci un sequel. Il condizionale è d’obbligo, considerato quante serie necessiterebbero di una continuazione, senza mai ottenerla. Ad ogni modo, la storia è finita, e bene, anche così com’è. Ignorate gli ultimi secondi, e andrà bene così.
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La tua realtà è il luogo dove sei felice.
Non so neppure da dove cominciare. Sedici episodi da un’ora ingurgitati in tre giorni. Sinceramente ci sono stati momenti in cui ho temuto un po’ per la mia salute. Da altri drama ho dovuto spesso staccarmi per noia o saturazione. Da questo, ho dovuto di tanto in tanto fare piccole pause perché mi rendevo conto di guardarlo sul bordo della sedia, sporgendomi verso il video, coi battiti accelerati. Dubito di riuscire a mettere in parole anche solo una parte di ciò che mi ha tanto affascinato. Il totale è sempre maggiore della somma delle parti.Ma andiamo con ordine. Siamo a Seul, ai giorni nostri, e Han Tae Joo è capo di una squadra investigativa. E’ un tipo molto freddo, che si fida solo dei riscontri oggettivi, finché un giorno, investigando una serie di delitti opera di un serial killer, non si becca una pallottola in testa. E, come ciliegina sulla torta, lo investono con un’auto. Da un’autoradio udiamo le note di Life on Mars? di David Bowie e il nostro si ritrova improvvisamente per le strade di una cittadina nel 1988, detective assegnato ad un piccolo posto di polizia di provincia. Sta sognando, è morto, è in coma, ha viaggiato nel tempo? Come farà a tornare indietro? Nel frattempo, comincia ad indagare e a scoprire inquietanti collegamenti tra quello che ora è il suo presente e quello che era il suo futuro, incontrando una serie di persone conosciute che, nel suo tempo, sono ancora vive, o già morte.
La stragrande maggioranza del drama si svolge nel 1988, e verte sullo svolgimento di indagini che hanno collegamenti più o meno diretti col passato di Tae Joo e con i casi moderni. Lo spettatore rimane affascinato dalle varie verità che progressivamente vengono svelate. Queste indagini, svolte dal protagonista e dai suoi nuovi colleghi, sono molto movimentate, a volte addirittura chiassose, perché i poliziotti del 1988, e specialmente il capitano Kang, sono piuttosto violenti, rodomonteschi, e terribilmente maschilisti. All’unica ragazza del gruppo, che pure pare essere spesso quella col cervello più fino, viene più volte ordinato di fare il caffè, se non di lavare i vestiti dei colleghi. Soprattutto, si assiste ad un gran numero di inseguimenti a rotta di collo, per lo più a piedi, tra vicoli stretti, stradine, ripide scalinate. Queste ambientazioni contribuiscono non poco a generare nello spettatore una sensazione di affanno e urgenza, quasi di claustrofobia.
Un’altra cosa che tiene incollati allo schermo è l’ansia che si genera quando il protagonista è vittima di malesseri improvvisi, coincidenti con flash in cui lui e gli spettatori sentono voci di medici e infermieri che gli parlano o descrivono la sua situazione, voci che ovviamente i suoi colleghi non sentono. E spesso il nostro sente queste voci provenire da radio, walkie-talkie, televisioni. Addirittura, il protagonista di uno show gli parla dalla TV… Intuiamo che Tae Joo potrebbe essere in coma. Riuscirà a tornare a Seul, cioè a risvegliarsi? Diverse persone paiono disposte ad aiutarlo, gli danno consigli, aumentando la sua confusione. Saranno veri o falsi, degni di fiducia, o cercheranno di ingannarlo? Di chi può fidarsi? Lo spaesamento è totale.
Non di sola tensione si nutre questa serie: la squadra del 1988 è piuttosto ridicola, anche se a volte si ride amaro e si prova più di un moto di fastidio: i tre poliziotti principali, compreso il capitano, pur avendo in fondo buone intenzioni, sono terribilmente grezzi e ignoranti. La loro propensione alla violenza e ai metodi spicci è fonte di diversi scontri col nuovo arrivato, anche se nel tempo le esperienze li porteranno a comportarsi in maniera meno neandertaliana. Da questo punto di vista, possiamo dire di assistere ad una crescita caratteriale piuttosto importante. Però, nel frattempo, dovremo vedere il capitano Kang petare rumorosamente in una piscina, battagliare con un sospetto a suon di sputi, e altre amenità di questo genere.
Per contro, l’unica agente su cui ci si sofferma, Yoon Na Yeong, pare essere intelligente, affidabile e gentile, sempre pronta ad aiutare, nonostante sia spesso relegata a lavori di supporto e trattata con condiscendenza. E, per la legge non scritta di tutte le storie, ovviamente non potrà che provare attrazione per il protagonista, sentimento ricambiato, ma che rimane molto delicatamente in sottofondo, mai effettivamente sdoganato e fatto brillare di luce propria. Le relazioni romantiche non hanno una grande importanza in questa serie e, sinceramente, non se ne sente proprio la mancanza, perché di carne al fuoco ce n’è molta anche così.
In questo universo passato, 30 anni prima di quello che per Han Tae Joo era il presente, egli avrà l’opportunità di sviluppare pian piano i rapporti umani che, a causa della sua infanzia che ora può osservare da un privilegiato punto di vista interno/esterno, si era precluso. Imparerà il valore dell’amicizia e della fiducia, instaurando rapporti stretti proprio con quel gruppo di rozzi poliziotti con cui all’inizio aveva avuto tante incomprensioni, specialmente col capitano Kang, mentre, per contro, anche costoro diverranno un po’ meno estremi. Nel frattempo, verrà sviscerato anche il rapporto del protagonista col padre, una situazione rimasta in sospeso per troppi anni.
Tutto questo si svolge in una ambientazione che, ai miei occhi di profana, appare terribilmente accurata, con gran uso di auto dell’epoca, comparse in abbondanza, uso di canzoni anni 80 e, soprattutto, una cinematografia che, a definirla brillante, le si farebbe ancora un torto. Non mancano temi di denuncia sociale. Oltre alla rappresentazione di una polizia violenta, spesso corrotta e poco incline a seguire le regole, si fa espresso riferimento al fatto che molti senzatetto vennero prelevati dalle strade e internati in strutture lontano dagli sguardi, poco prima delle Olimpiadi. Era infatti il 1988 l’anno delle Olimpiadi di Seul e, come accade un po’ ovunque, in quelle occasioni i governi fanno delle opere di pulizia “di facciata” con scarso rispetto per la vita dei cittadini. In realtà, in Corea, questi rastrellamenti duravano già da almeno dieci anni, con lo scopo di “ripulire le strade”, e i poveri disgraziati che ne furono vittime dovettero subire violenze e soprusi, spesso costretti al lavoro forzato. Queste ingiustizie sono ancora oggi insabbiate dal governo.
Resta da parlare degli attori. E come non partire da Jung Kyung Ho, lo splendido, dolente protagonista Han Tae Joo? Attore maturo e completo, ha partecipato come interprete principale ad una nutrita serie di drama di successo, e in questo ha saputo coinvolgerci in una spirale infinita di spaesamento, paura, dolore, sfiducia, ma anche determinazione, speranza, perfino allegria. E molto, molto altro. Un’interpretazione non solo cerebrale e di cuore, ma anche molto fisica: non si contano gli scatti da centometrista con cui ha inseguito o è stato inseguito, e gli scontri che ha sostenuto.
Gli fa da spalla, nei panni del capitano Kang Dong Cheol, un ottimo Park Sung Woong, che ha saputo rendere con dovizia di particolari un personaggio che definire solo rude, grezzo e vanaglorioso sarebbe riduttivo. Come spesso accade, l’impressione iniziale negativa viene pian piano stemperata, se non addirittura rovesciata, nel corso dell’opera. E Park Sung Woong ce lo fa capire benissimo.
La protagonista femminile Go Ah Sung è Yoon Na Yeong, la poliziotta di cui si parlava prima. Un’ottima prova, che riesce a far trasparire l’anima d’acciaio che si nasconde sotto la pelle di un donnino spesso solo apparentemente remissivo ma, all’occorrenza, energico e deciso.
Non che gli attori di spalla, i protagonisti secondari, fino alle comparse, non abbiano lavorato bene: il livello di recitazione è generalmente altissimo, da parte dell’intero cast. Un vero piacere .
Questo drama è piaciuto a molti, ma ci sono, ovviamente, voci contrarie. Chi non lo apprezza particolarmente fa spesso riferimento al finale, e al messaggio controverso che, apparentemente, porta. Non dimentichiamo, in mezzo a tanti accadimenti e parole, il titolo dell’opera, e a cosa si ispira: Life on Mars? E allora, giova forse riportare una parte del testo dell’iconica canzone di David Bowie:
But her friend is nowhere to be seen Now she walks through her sunken dream
To the seat with the clearest view And she's hooked to the silver screen
But the film is a saddening bore For she's lived it ten times or more
She could spit in the eyes of fools As they ask her to focus on
Sailors fighting in the dance hall Oh man! Look at those cavemen go
It's the freakiest show
Take a look at the lawman Beating up the wrong guy
Oh man! Wonder if he'll ever know He's in the best-selling show
Is there life on Mars?
Una comune ragazzina va al cinema per sfuggire alla deprimente vita quotidiana, ma si ritrova a guardare un film noioso, già visto e rivisto. Sullo schermo si affastellano scene senza senso, guarda, un avvocato sta menando il tizio sbagliato, chissà se sa di essere in un film… Cos’è finzione, cosa vita reale? C’è, nella finzione, un luogo più semplice e bello, dove essere felici? Ci sarà vita su Marte?
La conclusione dolceamara, ancora sulle note di Life on Mars? e, di conseguenza, l’intero significato di questa serie, sono parzialmente rimessi alla sensibilità dello spettatore. Durante tutto lo svolgimento, assistiamo ad una serie di circostanze e indizi che possono far propendere, a seconda dell’interpretazione che si vuol loro assegnare, per un modo o per l’altro in cui il protagonista approda alla sua situazione finale. Si tratta di un remake della serie TV britannica con lo stesso titolo del 2006 (che non ho visto), ma sarebbe forse un errore voler interpretare questa alla luce di quella. Per quanto alcune premesse e, sicuramente, gran parte dello svolgimento siano gli stessi, sicuramente i parallelismi non sono completi. E, a mio modesto parere, ogni spettacolo andrebbe interpretato e valutato per quello che è, non per quelli che l’hanno preceduto. Altrimenti, cadrebbe buona parte della motivazione a fare un remake.
A conclusione, si tratta di un’opera che spazia su diversi generi, dal crime alla fantascienza, con qualche sfumatura romantica che non disturba il fluire della storia. E’ una serie che, per quanto mi riguarda, non genera un minuto di noia e non lascia respiro, con poche illogicità, che possono comunque essere spiegate dalla peculiarità dell’ambientazione e che, anzi, potrebbero rappresentare indizi su cosa stia effettivamente accadendo. A giudizio dello spettatore.
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Si tratta di un adattamento della web novel "Qing Chuan Ri Chang" di Duo Mu Mu Duo, ambientato in un paese di fantasia, pseudo cinese antico, e non risparmia bordate al sistema patriarcale che vuole le donne sottomesse agli uomini in ogni più minuscolo dettaglio della loro vita.
In questa storia, ci sono otto staterelli dominati da un nono, al quale ogni tre anni vengono mandate in tributo, per mantenere la pace, delle fanciulle di buon lignaggio per farne mogli e concubine dei vari principi. Ma nel mucchio che prendiamo in considerazione ci sono alcune “mele marce” che rovineranno i calcoli degli sciovinisti e, aiutate da alcuni principi decisamente migliori di altri, cambieranno in breve tempo le carte in tavola nel paese retrogrado e maschilista. Sì, perché nella maggior parte degli altri paesi, le donne hanno un rapporto di parità, se non addirittura di predominio, rispetto agli uomini. Come accadrà tutto ciò è il succo del drama, che verte principalmente sui rapporti di stretta sorellanza che si sviluppano fra le varie mogli e concubine, distribuite fra i vari principi. Alcune avranno più fortuna di altre, ma la lezione che ricaveremo da questa serie è che, se le donne si alleano invece di farsi la guerra, possono ottenere risultati impensabili. Raramente si sono viste amicizie così solide a palazzo, ed è molto piacevole.
Ammetto di essere approdata a questo show per il protagonista Bai Jing Ting, già amato in Reset e in You are my hero, che interpreta qui il sesto principe, figlio non prediletto, apparentemente malaticcio e senza aspirazioni. Inutile dire che la sua ascesa avrà grande parte nell’economia della storia. Dicevo che ho deciso di guardare New life begins per lui, e non sono rimasta delusa dalla sua interpretazione: il suo viso molto mobile e espressivo è perfetto nei momenti romantici, commovente in quelli tristi, esaltante quando fa valere la sua autorità. Non ha una bellezza patinata e convenzionale e, per il gusto occidentale, è dotato di un paio di orecchie decisamente importanti ma che probabilmente non sono un problema in Cina, visto che sono in molti ad esibire orecchie a sventola e, con la dilagante mania della chirurgia plastica, ci vorrebbe pochissimo a correggerle.
Tian Xi Wei, protagonista femminile già vista in Be my cat, è anche lei interprete di spessore, e ci regala qui diverse scene veramente memorabili. E’ la concubina del sesto principe, vero motore dell’epocale cambiamento che avverrà nel retrogrado regno dove è stata inviata.
Attorno a questa coppia principale se ne aggirano diverse altre, coi loro problemi, le loro interpretazioni di cosa è o dovrebbe essere un rapporto di coppia, le loro relazioni coi potenti dei vari regni.
Le relazioni che si sviluppano fra le varie coppie sono abbondantemente sviscerate e, se certi personaggi sono all’inizio negativi o piuttosto antipatici, diversi intraprenderanno percorsi che li porteranno a crescite significative. Fra i personaggi secondari, è particolarmente azzeccata l’interpretazione di Chang Long, il quinto principe Yin Qi sposato contro la sua volontà con una feroce principessa proveniente dal regno dove comandano le donne. La loro è sostanzialmente la seconda coppia, e l’evoluzione del loro rapporto è molto godibile.
Ma in realtà occorrerebbe citare praticamente ogni attore, e sono una settantina: quasi tutti, fino alle comparse, hanno dato vita ai loro personaggi con vera maestria. Ho avuto qualche riserva sul secondo principe che, a tratti, mi è parso poco convincente, per poi però riscattarsi subito dopo con scene da brivido.
Costumi e ambientazioni sono veramente ben fatti e piacevoli alla vista. Si vede chiaramente che in questo comparto non si è proprio badato a spese! Anche la cinematografia è molto apprezzabile, i colori sono accesi e luminosi e i combattimenti, pur non eccessivamente numerosi, sono ben coreografati. Le musiche fanno tutto il loro dovere nel sottolineare i momenti più dolci o tragici. Ottimo lavoro.
Gli intrighi di palazzo per conservare il titolo di principe ereditario, o appropriarsene, sono abbastanza interessanti ma, in ossequio alla leggerezza di quella che resta pur sempre una commedia, non sono mai troppo feroci o tragici. I cattivi, al dunque, vengono sconfitti senza troppa difficoltà, anche perché, contrariamente all’idea che hanno di sé, non sono particolarmente furbi o intelligenti.
Quello che alla fine viene sconfitto, in una soluzione utopica della questione, è il vero nemico da combattere: il sistema pesantemente patriarcale che soffoca e uccide le donne. Sarebbe bello se fosse vero, ma purtroppo ci si deve accontentare del lieto fine di una commedia molto piacevole.
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The Director Who Buys me Dinner
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Un BL innocuo e carino, ma purtroppo talmente affrettato da risultare confuso.
Adattato dal webtoon coreano omonimo, scritto da Toesa e illustrato da Yang Eun Ji, questo drama è un condensato di soli 10 episodi da circa 15 minuti ciascuno, di cui solo una dozzina destinati alla storia vera e propria. Non avendo letto l’opera originale, non sono in grado di fare confronti, ma pare che il finale sia stato modificato, nell’insoddisfazione dei lettori.Seol Dong Baek (Park Jeong Woo) è il nuovissimo impiegato di una società di intrattenimenti. Il suo capo, il direttore Min Yu Dam (Park Young Woon) lo investe subito con la proposta di uscire a cena insieme perché, a sentir lui, se non si frequentano morirà! Quale sarà la verità?
L’idea di fondo era anche carina però, a causa del tempo limitato, la realizzazione ha lasciato abbastanza a desiderare. Se DongBaek è inizialmente vittima di una corte spietata e non apprezzata, il passaggio alla fase in cui decide di accettare è troppo repentino e poco motivato. Per semplificazione, la società pare lavorare per un solo artista, il capriccioso e isterico Dennis Lee, e la cosa disturba un po’. Lo stesso Dennis Lee è un personaggio poco chiaro, spiegato male, di cui non si capisce bene quale molla lo spinga, probabilmente perché, secondo gli spettatori, è stato cambiato molto rispetto al webtoon. Soprattutto, non è ben spiegata la maledizione che sarebbe alla base di tutta la vicenda, che avrebbe generato reincarnazioni per uno e vita secolare per l’altro. Il finale, invece, è stato abbastanza soddisfacente, anche se alcuni potrebbero considerarlo aperto. Per me, è più che intuibile quale piega prenderanno le vicende.
Il commento musicale è stato più che adeguato, anzi, nei momenti più drammatici è stato decisamente ottimo. Lo stesso si può dire delle ambientazioni e dei costumi, specie dell’altissimo direttore, che sembra fatto apposta per indossare abiti eleganti.
La chimica della coppia ha funzionato abbastanza, non a livello di scintille, ma comunque adeguata e ben recitata. Altrettanto non si può dire del terzo incomodo Dennis Lee, costretto, penso per dettami di regia, a una performance da isterico forzata e poco realistica. Gli attori di contorno hanno consegnato una performance credibile, tranne quando costretti all’eccesso per esigenze di comicità.
In sunto, un drama che, stante la lunghezza veramente limitata, si può guardare tutto d’un fiato e che funziona ottimamente come riempitivo in attesa di azzannare qualcosa di più corposo, ma che lascia con un senso di insoddisfazione per l’impianto chiaramente derivato dall’opera originale: a volte dava l’impressione di guardare un webtoon in movimento. Ed è un vero peccato perché la storia, sviluppata in maniera diversa, avrebbe veramente meritato molto, molto di più.
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Carino ma senza gridare al miracolo
Breve serie cinese romantico-culinaria con aneliti di femminismo in 16 episodi da 44 minuti, per la regia di Guo Hao.Ling Xiao Xiao è una bravissima cuoca, che aspira a diventare “il” miglior cuoco in un mondo dove tutti gli chef di una certa levatura sono maschi. Riesce conquistare il palato del principe ereditario Zhu Shou Kui, un giovane capriccioso ma di buon cuore, e si installa nelle sue cucine superando anche col suo aiuto via via tutte le difficoltà, mantenendo sempre bene in vista il suo obiettivo.
Ovviamente, fra i due nascerà un sentimento che, per una volta, non sarà osteggiato dalla famiglia reale di turno. No, quello che verrà proibito non sarà l’amore, ma il mestiere di Xiao Xiao: come futura moglie del principe ereditario e, in prospettiva, imperatrice, dovrà rinunciare completamente alle cucine, che sono la sua ragione di vita. O rinunciare al principe. Una scelta traumatica per tutti gli interessati.
Si tratta palesemente di un progetto a basso budget. Tutto, dai costumi alle ambientazioni, dal numero relativamente limitato dei personaggi alla realizzazione dei piatti, è decoroso ma certo non memorabile. Soprattutto, trattandosi di cucine imperiali, le ricette proposte sono apparentemente poco ricercate e raramente decorate.
Il commento musicale, invece, è piuttosto azzeccato e sicuramente contribuisce al successo dell’opera.
Gli attori, senza troppe eccezioni, hanno recitato ben sopra il minimo edittale. In particolare la coppia principale chef-principe, interpretata rispettivamente da He Rui Xian e Wang Xing Yue, ha saputo reggere la scena in modo ammirevole. Specialmente il giovanissimo Wang Xing Yue, classe 2002, pur con un’esperienza tutto sommato limitata, è già in grado di dare dei punti a tanti colleghi ben più navigati, ma che magari fondano la propria fama più sull’aspetto che sulla bravura.
La coppia principale funziona molto bene, sono entrambi inesperti e combinano tutti i pasticci del caso ma, quando finalmente arriva il momento di darsi un bacio, Wang Xing Yue non si tira certo indietro, pur tenendo a mente che il bacio alla francese è sconosciuto nei drama cinesi.
Lo svolgimento della vicenda è piuttosto semplice e lineare, affidando tra l’altro molto schermo alla preparazione dei cibi e al consumo degli stessi. E qui entrano probabilmente in campo le differenze culturali, visto che per il gusto occidentale è piuttosto disdicevole focalizzare l’attenzione in primissimo piano sull’atto del mangiare, specie perché, contrariamente a quanto si vede in buona parte dei drama asiatici, da noi parlare a bocca piena è un deciso no-no. Se ci aggiungiamo che, nel momento in cui si pone il cibo in bocca, la produzione ha pensato bene di aumentare gratuitamente il volume dei relativi suoni, si ottengono sequenze piuttosto sgradevoli, almeno ai nostri occhi e, soprattutto, alle nostre orecchie. Vogliamo dire che è [i]asmr[/i], come qualcuno ha suggerito? Ma se è così, su di me non funziona…
Il [i]polLiticamente[/i] corretto in Cina non è ancora arrivato e si vede: nel cast ci sono due donne sovrappeso e, delle due, una è inizialmente un personaggio negativo e l’altra è pure una povera di spirito. Ed entrambe non fanno altro che mangiare, anche se in questo stanno in buona compagnia. Io stessa sono in sovrappeso e questa cosa mi disturba sempre.
I personaggi soffrono di una caratterizzazione un po’ monodimensionale: la chef parla sempre solo di cibo, nelle cucine si pensa sempre solo a mangiare e il principe, per quanto di cuor gentile, è piuttosto egocentrico e non pare rendersi conto dell’importanza dei punti di vista diversi dal suo. Per contro, la famiglia imperiale è molto fuori dai cliché, molto alla buona, addirittura e, per quanto si parli tanto di regole, alla fine quella veramente importante pare essere che le principesse non devono stare in cucina (eppure nei primi episodi ce n’è una che cucina quando le pare).
Ad ogni modo, la serie si lascia guardare senza opporre troppa resistenza fino alle ultime puntate, quando la nostra Xiao Xiao viene messa di fronte a un aut aut: la cucina o l’amore. La scelta sarà molto sofferta sia per lei che per il principe e si protrarrà per un paio di episodi, fino ad un finale solo apparentemente insoddisfacente e confuso, che viene spiegato negli ultimi minuti.
Tutto sommato, una visione gradevole e di poco impegno, non stellare ma di onesto intrattenimento, da cui potremo trarre ispirazione per qualche ricetta, magari nell’attesa che vada in onda il prossimo kolossal che stiamo aspettando.
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Coppia carina e affiatata, trama deludente
Andrò controcorrente, perché tutto questo entusiasmo per questo titolo io non l'ho provato.È un drama veramente peso piuma e si vede praticamente in ogni suo aspetto. Il fatto che sia condensato in diciotto episodi di soli 10 minuti giustifica solo parzialmente il pasticcio che è la trama: una accozzaglia di buchi, assurdità, comportamenti illogici, cose assolutamente non spiegate e buttate lì in un mucchio per alludere a uno svolgimento che in realtà non ha alcun senso.
Una giovane pittrice viene chiamata a eseguire un ritratto piuttosto osé di due amanti e dopo averlo fatto si risveglia con la faccia della donna protagonista della scena, figlia di un ministro. Viene quindi costretta a sposare al suo posto un generale e a cercare di trovare nella casa di costui una prova riguardo la morte del principe ereditario, col miraggio della ricompensa del ritrovamento della sorella perduta. Ma il generale è più furbo di quanto non sembri e si rende subito conto che la ragazza che ha sposato sembra serbare più di un segreto.
Mentre i costumi e le ambientazioni sono carini ma a malapena passabili e ci informano immediatamente del fatto che si tratti di un lavoro a basso budget, la colonna sonora e gli effetti sonori speciali non aiutano certo a cambiare idea. I due protagonisti però si difendono molto bene sia come avvenenza che come recitazione. Specialmente il protagonista Ryan Cheng sembra il fratellino più giovane di Allen Ren, ma anche gli attori di contorno fanno tutto sommato un lavoro al di sopra del minimo edittale.
Ciò che veramente è sconfortante è, come già detto, lo svolgimento della storia, che non spiega quasi nulla di come l'elemento soprannaturale possa essere venuto ad essere, nonostante ci sia un colpo di scena non completamente previsto che però tutto sommato, aggiunto al grosso pasticcio che è la storia, più che sorprendere fa cadere le braccia. Probabilmente la vicenda avrebbe avuto bisogno di qualche episodio di più per essere sviluppata in maniera decente, pur senza andare a cadere nei vari riempitivi di contorno che spesso ammorbano il genere. Sembra che purtroppo si vada da un opposto all'altro: titoli lunghissimi, infiniti, pieni di storie secondarie inutili, o serie condensatissime piene di azione e di accadimenti che si affastellano senza dare tempo allo spettatore di tirare il fiato.
Peccato. Si salva l'interpretazione degli attori principali e della bambina, veramente dolce e simpatica.
Soprattutto, la coppia principale ha una chimica da paura e lui bacia da dio... questo da solo risolleva le sorti di almeno un punto.
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She and Her Perfect Husband
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Lunga ma gradevole
In primis, 40 episodi da 45 minuti sono forse un po’ troppi per lo svolgimento della storia. Alcune situazioni diventano ripetitive, di altre si sarebbe potuto fare a meno, specie verso la fine, e così via. Non dico che dovessero confezionare il tutto in 30 episodi (ma forse sì!), ma di sicuro 35 sarebbero andati benissimo. Ci sono diversi colpi di scena, non tutti perfettamente prevedibili, ma rimangono un po’ diluiti all’interno di un racconto che procede a passo a tratti troppo lento. Alla lunga, si avverte un po’ di stanchezza e irritazione.Le vicende si svolgono in un prestigioso studio legale, dove le donne, per poter fare carriera, devono essere sposate e possibilmente avere già un figlio. Al netto del palese sessismo, evidenziato ancor più dai beceri commenti dei legali senior (tutti maschi), il ragionamento della capintesta è che una donna incinta, dopo che hai investito tanto per addestrarla, ti fa perdere soldi perché si mette in maternità o magari se ne va… Qin Shi, una bravissima avvocata, viene spinta a farsi assumere con un certificato che attesta un suo falso matrimonio e perfino un figlio con Yang Hua, un piccolo genio della finanza che vive oltreoceano, all’oscuro di tutto. Tutto fila liscio finché il giovane non rientra in Cina. Dopo un incontro imbarazzante, e un inizio burrascoso, i due finiscono per mettersi d’accordo per continuare la farsa: lei, per continuare la sua carriera, lui per proteggersi da una madre particolarmente invadente. Da lì prende la mossa tutta una serie di vicende spesso divertenti, ma anche tristi, che ci portano all’interno delle storie familiari dei due e nei meandri degli accadimenti nello studio legale.
La storia si focalizza su diversi aspetti, primo fra tutti il bilanciamento fra la carriera e la vita privata, senza dimenticare problemi di etica applicata all’ambito legale. Problemi reali: si parte con l’idea di voler essere moralmente ineccepibili, ma se il cliente ti paga, è giusto difenderlo se il suo crimine è odioso? Se ti usa per ottenere un ingiusto vantaggio, per sfruttare i deboli, per favorirsi in una transazione commerciale? E se non accettando una piccola causa di questo tipo dovessi perdere un cliente molto importante? Molto, se non tutto, pare procedere per ricatto più o meno velato, in un continuo [i]do ut des[/i] che rende perfettamente l’idea dell’equazione [i]affari=nido di vipere.[/i] L’essere di buona famiglia e possedere conoscenze importanti pare, a tratti, avere molto più valore dell’essere effettivamente competenti.
Quando a questo turbolento calderone si aggiungono ingredienti scomodi, quali finti matrimoni, menzogne varie da difendere, ex fidanzati, gelosie assortite, vecchi nemici e compagnia cantando, la ricetta rischia di ribollire. L’incredibile capacità di Qin Shi nella dialettica la salva spesso sull’orlo del baratro, mentre l’abilità e la profonda conoscenza del mercato di Yang Hua sono spesso di notevole appoggio alle situazioni di lei. Ma Yang Hua cela un passato doloroso e, lungi dall’avere attualmente un lavoro prestigioso, è in realtà un trader casalingo, sia pure di successo.
Una nutrita serie di spalle e personaggi secondari vivacizza le vicende. Tao Jun Hui, un avvocato ex fidanzato di Qin Shi, pare non averla dimenticata, suscitando le ire della sua attuale fidanzata, che causerà non pochi problemi. Il fratello minore della protagonista, un mediocre gaudente, litiga continuamente con la moglie, in scenate francamente un po’ eccessive. Le famiglie della coppia principale hanno dinamiche complesse, che contribuiscono a dare alla storia un background abbastanza completo. Non manca, per la protagonista, una rivale in ufficio, ma Li Dai è un’antagonista molto leale, che avrà anche un ruolo di coscienza per Qin Shi.
Anche se non si tratta di un aspetto preponderante, la coppia principale viene esplorato parecchio. Di strada da fare ce n’è tanta: si parte da un finto matrimonio all’insaputa di Yang Hua, che non può che risentirsene. Il suo personaggio è apparentemente quello che potremmo definire un [i]tappetino[/i]: calmo e stoico in ogni occasione, nei suoi rapporti con la madre pare sempre sottomesso ma, in pratica, fa quello che può per affermare la propria libertà di scelta. Questa libertà gli viene offerta dal matrimonio con Qin Shi, e sarà quello il motivo che lo spingerà, in principio, ad accettare un contratto con lei. Ovviamente, dato che siamo in Dramaland, il rapporto si evolverà romanticamente. Scottato in passato da un tradimento in ambito lavorativo, che gli ha distrutto la carriera e i sogni di ragazzo, inizialmente Yang Hua non vuole saperne di trovarsi un lavoro in ambito finanziario, dove pure sarebbe in grado di fare scintille. Ma le cose col tempo cambieranno.
Qin Shi è cresciuta in una famiglia di divorziati. La cosa l’ha segnata profondamente e ne ha influenzato negativamente i rapporti sentimentali: doveva sposare Tao Jun Hui, avvocato di buona famiglia, ma la madre di lui non l’aveva accettata per il suo ambiente familiare. E’ una professionista molto abile nel suo lavoro, e si pone l’obiettivo di arrivare ai piani alti dello studio dove lavora per aiutare le donne e specialmente per eliminare la regola dell’obbligo di matrimonio per loro. Quella deve sparire! La sua storia familiare le impedisce di accettare l’idea di un matrimonio vero, pur accettandone uno di convenienza. Col tempo, e le giuste spinte, dovrà superare questo suo blocco emotivo.
Assisteremo pertanto ad uno sviluppo caratteriale piuttosto importante della coppia principale e anche di alcuni personaggi secondari, per cui da questo punto di vista mi sento di dare punteggio positivo. D’altronde molto spesso i personaggi iniziano con l’essere quasi insopportabili, addirittura macchiette, per poter poi evolvere durante la serie.
L’intreccio in generale, per quanto pieno di cliché e tipicamente “dramatico”, è ben congegnato e, nonostante la lentezza nel procedere, tutto sommato godibile, almeno fino agli ultimi episodi, che risultano ancor più forzati di alcune delle situazioni già molto improbabili viste in precedenza. Le motivazioni per l’obbligatoria crisi prima della riconciliazione, circostanza onnipresente nei drama, sono tutto sommato plausibili, ma non molto ben eseguite. Troppe coincidenze, ex che si riaffacciano a disturbare la coppia, e anche il finale vero e proprio è troppo improvviso e poco soddisfacente. Le conversioni improvvise sulla via di Damasco non sono mai molto plausibili, specie in uno studio legale, e il riavvicinamento della coppia è piuttosto piatto.
La recitazione degli attori è soddisfacente, pur senza exploit da parte di nessuno. Yang Mi è una brava attrice, ma personalmente la trovo poco espressiva. Xu Kai, per esigenze di copione, ha dovuto recitare buona parte del drama con un’aria apatica e inespressiva. Gli attori di contorno hanno fatto tutti il loro dovere, con menzione d’onore per Li Xiao Feng, che interpreta mirabilmente la cognata di Qin Shi. Comparto promosso, ma senza particolari guizzi.
Le musiche sono gradevoli ma senza essere fenomenali e le canzoni, se pur piacevoli, sono ripetute talmente spesso da determinare un po’ di noia. Gli abiti sono generalmente belli, specialmente quelli femminili, anche se risultano a volte poco consoni all’ambiente lavorativo di un affermato studio legale: spesso vediamo gonne e pantaloni decisamente troppo corti o, al contrario, alcune mise più adatte a situazioni decisamente diverse. Non posso poi tacere di aver notato l’eccessiva magrezza di Yang Mi, le cui gambe sono quasi scheletriche. In Cina devono avere una strana idea di cosa costituisca l’essere belli.
In sunto, è un’opera un po’ lenta, non esente da difetti, ma in generale non priva di guizzi divertenti, di suggerimenti morali e di aneliti di femminismo. Tutto sommato si tratta di una visione piacevole, esperienza che non ripeterei (raramente lo faccio), ma che non sono pentita d’aver fatto.
Consigliato a chi ama le commedie non troppo romantiche e non si lascia scoraggiare da un approccio piuttosto lento.
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